In molti ricorderanno la frase tormentone della domanda posta da Eduardo De Filippo al figlio Tommasino (Nennillo) nella commedia “Natale a casa Cupiello”, la cui risposta da parte di Nennillo era invariabilmente: NO!
Per Luca, il personaggio interpretato da Eduardo, montare il presepe ogni anno costituiva motivo di orgoglio e tradizione. Vediamo infatti Luca nelle prime scene dipingere con il pennello la carta usata come sfondo di cielo stellato e accatastare con amore i vari pezzi che andranno a formare il paesaggio natalizio: lì già immagina i pastori, e la neve che andrà a coprire tutto, e le botteghe in basso, sistemando i pupazzi piccolini più su per mostrare così “che vengono da lontano”.
Per Eduardo De Filippo il Presepe è fonte di stimolo creativo: qui la cultura dell’economia domestica è salva in quanto “anche la sola capa di un pastore rotto si può riciclare se messa dietro una finestra!!!”
A parte la bravura indiscussa di De Filippo il fulcro di questa commedia è il significato religioso e culturale della consuetudine tutta italiana del Presepe. Il Presepe, dal latino “praesepium”: “mangiatoia”, è nato in Italia e sempre in Italia ha preso piede come rappresentazione della Natività di Nostro Signore.
Come molti sapranno, il primo Presepe della storia è nato a Greccio, dall’ ispirazione di San Francesco d’Assisi dopo un suo viaggio in Palestina. Dopo averne chiesto il permesso a Papa Onorio III, S. Francesco il 24 dicembre 1223 realizzò la rievocazione storica della nascita di Gesù nelle grotte vicino Greccio semplicemente con un bue, un asinello e un bambinello di terracotta che, secondo la storia narrata, durante la celebrazione della Messa della notte di Natale si trasformò in un neonato vivente.
Di differente cultura e interpretazione è invece il Presepe napoletano. Intorno al 1500 grazie al contributo di un altro santo, S. Gaetano di Thiene, nacque la cultura del Presepe popolare, arricchito cioè di personaggi e scene della vita quotidiana del periodo. Gli artisti napoletani crearono così statuette rappresentanti figure popolane (osti, mercanti, venditori di frutta e pesci..) fino ad arrivare al 1700 dove il presepio napoletano raggiunse il suo massimo splendore e ricchezza, sia per l’utilizzo di stoffe preziose che per la cura con cui venivano delineati i suoi personaggi. I visi dei pastori settecenteschi erano molto marcati, quasi delle maschere teatrali (la teatralità è tipica della cultura napoletana) mentre quelli ottocenteschi furono ingentiliti dalle influenze romantiche.
Schematicamente nel Presepio borbonico la scena del mercato settecentesco è sistemata verso la base, a sinistra l’Annunciazione perché temporalmente precede la Natività che è al centro, con la Grotta sormontata dalle rovine del tempio pagano (simbolo della vittoria della cristianità sulla paganità) e a destra i Re Magi.
Il personaggio di Benino, il pastore dormiente ai piedi della Grotta che sogna la Natività, è l’unione temporale tra il mercato settecentesco e la Grotta di Nostro Signore. I Re Magi sono seguiti da alcuni personaggi, pastori e viandanti, di 8 etnie differenti, tante quante furono le dominazioni di Napoli, e accolti dal pastore Circasso attorno ad una fonte a simbolizzare l’unione tra le etnie.
Il Presepe borbonico è perciò estremamente rappresentativo in quanto in esso confluiscono i due aspetti fondamentali della cultura napoletana : onirismo (la Natività è infatti sognata) e simbolismo. Non dimentichiamo che “Natale in casa Cupiello termina con Lucariello (Eduardo) che muore sognando, evocandolo a voce, il Presepe. Esattamente come il pastore Benino…